La paura e la pipì esistenzale
Qui è dove stavo cominciando una vita finamente soddisfacente e ne sono scappato per riempire le mie giornate di cose che detestavo. E mi è venuto un paragone interessante con il mio gatto e la pipì.
Dove non puoi amare, non soffermarti
- Frida Khalo.

Ah, mi ero scordato di scrivere, questa settimana. No, non è che non ho avuto tempo. Sì, ok, non ho avuto tempo. Ma anche se ce l'avessi avuto, me l'ero tolto dalla testa, di scrivere.
In realtà, se avessi avuto tempo – o meglio, se non mi fossi fatto assorbire da una cosa – me lo sarei ricordato.
Il punto è che mi sono scordato di tante cose. Per la precisione, di un sacco di cose nuove e vecchie che avevo intenzione di fare. Ma perché sto dicendo questo?
Adesso è sera.
Sera significa che avrei dovuto ragionare su un resoconto della giornata passata. Stavo testando un metodo di organizzazione basato sulla scrittura e che, tra le altre cose, mi stava aiutando molto con la scrittura stessa. A proposito, di questo metodo esiste un'intera newsletter qui su Substack curata dal suo inventore,
. Il metodo si chiama SPACE ed è interessante.Questo metodo prevede, tra le altre cose, che la mattina faccia un paio di riflessioni e che rifletta sulla giornata che ho davanti e sulle cose che voglio/devo fare. La sera, invece, scrivo cosa è andato bene e cosa invece non è andato secondo i piani. Niente di giudicante, eh. Solo una riflessione. Qualche giorno fa, avrei dovuto scrivere che nulla era andato secondo i piani. Ma non ho scritto. Da qualche giorno, invece, non faccio nemmeno la parte mattutina. E forse è meglio così.
E stasera? In questo momento sono sprofondato sul divano che fa uno sprofondare un po' troppo e poi sarà un casino alzarmi, ma tanto ho il gatto sulla pancia che fa le fusa e quindi non potrei alzarmi comunque. Sapete, non voglio rovinare la magia e poi mi sentirei un ingrato ad alzarmi. Anche se devo fare pipì. Mi sento sempre in dovere verso qualcuno o qualcosa.
Che poi il punto è questo. Parte tutto da qui, questa stanchezza, questo aver fatto troppo da una parte e non aver fatto nulla dall'altra.
Nel frattempo, il gatto si è alzato e sono andato a fare pipì. Sono stanchissimo. È la mia testa, a essere stanca. Non è la stanchezza di una lunga giornata. È la stanchezza di chi ha bruciato una giornata senza aver fatto nulla per se stesso, nulla che lo abbia arricchito.
Ma cosa ho fatto e cosa non ho fatto?
Iniziamo dall'ultima cosa. Ho lavorato. O meglio, mi sono svenduto. Un progetto che non mi piace, a fare cose che non mi appartengono, in modalità che detesto. Ah, dimenticavo: pagato pochissimo, perché ho chiesto pochissimo. Va' a capire perché.
Una cosa che proprio non mi piace e su cui ho riversato tutte le mie energie. È lo stesso per cui mi sono sentito in dovere di fare un sacco di cose extra senza essere pagato.
Davvero, eh: sono tre-quattro giorni che inizio la mattina e finisco solo quando comincio a vedere doppio. A quel punto chiudo il computer, guardo fuori ed è buio. Poi guardo l'orologio e mi accorgo che è troppo tardi per fare qualunque cosa. Non che ne abbia le energie.
A questo punto, vi starete chiedendo perché lo stia facendo.
Eh, lo sapete voi? Perché io non lo so.
Qualche sospetto, comunque, ce l'ho. C'entrano tutti i cambiamenti che sto vivendo in questo periodo.
Non è un caso che la situazione sia peggiorata – ovvero, che ho cominciato a spingere ancora di più in questo lavoro, che è diventato una sorta di monomania per me – quando ho avuto la bella pensata di dirmi:
"E se approfittassi di questo momento di incertezza, di stasi apparente, per costruire una persona nuova? Usare questo tempo per costruire dalle macerie una versione di me di cui essere contento a partire dalle cose che mi piacciono?"
E una sera di qualche giorno fa, ho cominciato a immaginare. La chitarra, il teatro, decidere di promuovermi e decidere quindi di inventarmi un mestiere che mi piace. E poi dedicarmi a cose che faccio già e che mi fanno stare bene: allenarmi, stare nella natura. Leggere tanto, imparare cose nuove per il puro piacere di impararle. Sto leggendo la storia della filosofia di De Crescenzo. E ho scoperto che mi piace un sacco la filosofia e mi piace il modo di scrivere di De Crescenzo, che è leggero e profondo, simpatico e competente.
Insomma, stavo cominciando a progettarmi una vita nuova; per farlo, sono partito dai miei valori, che ho cominciato a riconoscere e riconoscermi: la libertà, la crescita, l'autenticità, la voglia di stare su un palco, le connessioni profonde. Cominciavo a intravedere una prospettiva oltre la nebbia di incertezza nella quale mi trovo da quando la mia vita è crollata.
Sono andato a letto tutto contento, cosciente che domani sarebbe iniziata una nuova epoca. E invece, l'indomani mi sono svegliato e vabbè, le cose che devo e voglio fare le faccio dopo. Prima sistemo questa cosina per quel lavoro e... e da allora, tutte le giornate sono assorbite da una cosa che non mi dà soddisfazione, soldi, niente. Solo stress. Tutte le prospettive, tutta la vita che progettavo, messa da parte. Come un libro che ti prende tanto, ma a un certo punto ti accorgi che sta cominciando a toccare nervi scoperti.
Ma perché?
Non lo so. Ne ho parlato con Anita. Secondo lei, mi sono fatto prendere dalla paura. Mi sono sentito sopraffatto dalla bellezza di una prospettiva nuova, in cui non mi dico "non ce la farai mai". In cui, aggiungo io, mi dovrei prendere la responsabilità di una felicità che per la prima volta vedo possibile.
Questo, secondo me, è molto azzeccato. Ma poi c'è anche altro. Il fatto che mi sono sentito in dovere di lavorare e occupare il mio tempo con una cosa produttiva per qualcun altro. Perché è così che mi sono abituato a ragionare. Devo essere al servizio di qualcuno. E soprattutto, non posso vedere questo momento come l'opportunità per ricostruire.
A questa prospettiva, non appena comincio a metterla a fuoco, se ne sovrappone con violenza un'altra, più familiare: quella in cui devo fare qualcosa perché sennò sono un inutile perdigiorno. Devo trovare una soluzione, e subito, per mostrarmi utile per qualcun altro.
Me lo diceva la mia amica Sara l'altro giorno: leggendo Oltremare, dice lei, salta subito all'occhio quanto duro sia con me stesso. Non me n'ero mai accorto. Ma è vero. Comincio ad accorgermene.
Infine, c'è la sindrome dell'impostore: ho l'ansia di non fare bene il mio lavoro. Quindi, cerco di perfezionarlo in modo ossessivo perché temo che, se i risultati non arrivano, sarà colpa mia e tutti scopriranno che sono un incapace.
Mettiamo queste cose insieme. Le ultime due sono facili da collegare: sono duro con me stesso, quindi mi sento un incapace ma comunque devo ammazzarmi di lavoro per giustificare la mia presenza su questa terra. È ironico, visto che tra le cose che mi dico più spesso c'è che sono un buono a nulla scansafatiche.
Ma come si legano queste due cose con la prima?
Con la paura.
Sentire la vertigine di prendere coraggio e lasciare il davanzale del "non sono più nulla" e fare un salto nel vuoto del "posso decidere di essere qualunque cosa io voglia". Che richiede un bel po' di coraggio e fa girare la testa, perché puoi scegliere tra tante cose che non pensavo di avere il diritto di guardare, figuriamoci di prendere.
Magari scrivere qualcosa di bello, che emozioni le persone. Raccontare come fa De Crescenzo, con quella densità che sembra non avere peso.
Raccontare. Cominciando a cambiare la mia, di narrazione.
E quindi? Quindi proverò a prendere coraggio e dire "no" a quella paura e quella sfiducia che, per tornare a tormentarmi, si è trasvestita da senso del dovere. Un travestimento molto efficace, perché fa presa su tutti.
O, per dirla con
, nel numero di questa settimana di :Quindi smettiamola di ascoltare quella voce nella testa che ci ripete: “cosa stai cercando?!” , “Possibile che non ti accontenti mai?”, “Non potrai farcela”, “Torna coi piedi per terra”.
Se ci sentiamo insofferenti o insoddisfatti non dovremmo aver paura di accorgerci che dove siamo non è più un luogo per noi. Se invece sentiamo di aver imboccato un sentiero che ci offre un bel panorama, smettiamola di avere paura di sbagliare, che tanto sbaglieremo sicuramente e ci insegnerà molto più che fare bene.
Quindi, domani, dedicherò il giusto tempo a questo cliente. E il resto, a cose che mi fanno stare bene. Una prospettiva terrificante. Pensate: fare un passaggio tra il senso del dovere verso gli altri e le aspettative che hanno su di me, a un dovere verso me stesso. Tra il rimanere sul divano a fare a mia volta da divano al gatto di turno, all'alzarmi e pensare ai miei bisogni, una sorta di lunga pipì esistenziale. Ma forse, ho già cominciato a farlo. Infatti sono qua che sto chiudendo questo numero di Oltremare.
Al prossimo! Ciao ciao!
Bella 👏🏻mi sono rivista in alcuni passaggi (pipì esclusa perché per quella mi attivo subito) soprattutto nel sentimento della paura e del travestimento del senso del dovere!
Questo stato costante di "pipì esistenziale" mi rappresenta terribilmente e trovo la metafora davvero geniale. Credo che il costante bisogno di riversare quasi tutte le energie in qualcosa che non ci gratifichi sia il risultato di un bias cognitivo che ci convince della validità del lavoro solo se è sacrificio e abnegazione. E poi, l'abnegazione ci viene pure bene perché ci assorbe così tanto che non dobbiamo correre il rischio di fare qualcosa che possa farci sentire bene, come se vivere con leggerezza sia una colpa....e invece, forse, è il senso e la chiave di tutto.