La solitudine picchia forte d’estate
Qui è dove sentivo la solitudine una domenica d’estate e sono finito a parlare di relazioni. Che poi quella sera alla fine sono pure uscito, pensa un po’

Sono le otto di sera e sono in macchina. Sto tornando a casa dopo un tardo pomeriggio passato ad allenarmi.
Il cielo è di quell’azzurro-rosa che sa di docce e stanchezza dopo il mare, che anticipa serate spensierate con chi vuoi bene.
Spotify mi propone “Cosa faremo da grandi” di Lucio Corsi e penso, non chiedetemi perché, ai motivi che mi hanno portato a rimanere solo, questa sera.
Ora, non è certo una tragedia. Nonostante la testa tenda a disegnare degli scenari irreali, nei quali sono sempre solo. Per dire, la mattina stessa sono stato al mare con un’amica.
Però c’è qualcosa nelle serate d’estate che ti fa pesare un po’ di più la solitudine. Che comunque c’è. La sento da quando ho memoria. Non importa quanta compagnia avessi. È come se fosse una condizione interna e immutabile, che prescinde dalla realtà e che forse quest’anno si fa sentire di più.
Non aiuta nemmeno vedere le storie dei tuoi amici su Instagram della sera prima, o della mattina. In viaggio o a cena da qualche parte. Sembra la nostra mente sia progettata per metterti a paragone con gli altri e farti uscire sempre sconfitto. E i social sono lo strumento perfetto.
In un certo senso, questa serata passata a guardare le olimpiadi da solo, a casa, me la sono costruita e rappresenta un contrappasso che mi tocca scontare.
Gli ultimi mesi ho avuto qualche frequentazione. Nessuna di queste è finita bene, ma tutte mi hanno insegnato qualcosa. Intanto, a imparare a capire proprio che, se non va bene, questo non significa che sono rifiutabile tout court. Direte “ma va?”. Capitemi, per me è tutto nuovo. Sono nuovo di questo mondo e mi sono perso gli ultimi sedici anni. Ma questa è una storia che non mi va di raccontare, per ora.
Ma ho anche capito che queste cose seguono logiche che non sono logiche. E questa cosa mi inquieta.
Qui comincio a fare fatica a scrivere. Forse perché non capisco il meccanismo, forse perché, quando queste cose non vanno, il primo istinto è di pensare che non va qualcosa in me. Bisogna allenarsi, al rifiuto. Allenarsi e distaccarsi.
Poi succede che questo primo scoglio lo superi e la cosa mi piace ancora meno. Perché se il rifiuto non fa piacere, l’accettazione non la conosco e mi spaventa. In realtà, vedo che spaventa un po’ tutti. L’idea di mettere a repentaglio la propria solitudine e provare a incastrarsi con la solitudine di un’altra persona è molto spaventosa. E poi ci sono i traumi passati, i pregiudizi e tutto. Spesso si preferisce scappare piuttosto che avventurarsi. L’hanno fatto con me, l’ho fatto a mia volta.
Quindi ci si rifugia nel “bisogna imparare a stare bene da soli” che – posso dirlo? – è una scusa dettata dalla paura. Non siamo fatti per stare da soli. Siamo fatti per riconoscerci nell’altro. L’altro giorno la mia amica Lidia mi ha mandato un’intervista a Pierfrancesco Favino, l’attore di praticamente qualunque film italiano negli ultimi, boh, dieci anni.
E dire che Lidia è una grande sostenitrice di questa cosa dello stare soli. Ma forse non è davvero così. In ogni caso, credo essere da soli significhi precludersi la scoperta di tanti lati di sé.
Per esempio, Oltremare mi sta mettendo in contatto con tantissime persone che mi dicono cose come “grazie, leggere te fa sentire che non sono sola/solo a provare certe cose”.
E vogliamo precluderci questa sensazione liberatoria? Ma perché? Solo per illuderci che una condizione a volte obbligata, ma non certo bella, sia in realtà una cosa da ricercare? Solo perché ci fa troppa paura rimetterci in gioco? Boh, che ne so.
Comunque, quando leggerete questa cosa sarò in viaggio con amici, ma questo vale per tutte le volte che mi sentirò (e magari vi sentirete) soli. Di domenica, oppure no.
Ciao ciao!
Ciao Ale, è bello leggerti. A volte invece mi sento troppo stretta nella morsa dei rapporti, che sia familiare, sentimentale, di amicizia, insomma qualsiasi e sento l'esigenza di stare sola. Mi sento come soffocare dal mondo e ho bisogno di entrare nella bolla della solitudine e quindi vado a correre, camminare, pedalare e questo mi fa sentire viva, rigenerata (senza telefono né apparecchiature elettroniche che posso disturbarmi ovviamente).
A volte la solitudine può essere un bene per scavare dentro di sé, per conoscerci, per riavviare il cervello e ravvivare quei rapporti umani che sono rimasti a casa; perché quando torniamo a casa la voglia di condividere è maggiore.
lo vedo come entrare dentro una bolla dove solo tu sai chi sei, ti conosci e approfondisci quel rapporto più profondo con il tuo Io.
Se è vero che noi umani siamo essere sociali è pur vero che ogni tanto stare soli con se stessi può essere un valido aiuto per limare, scalfire e analizzare cose che non potremmo capire se ci relazioniamo con altri; un specie di viaggio al centro della terra, alla scoperta delle profondità del proprio Io.
Non vedo l'ora di leggere il tuo prossimo articolo
Bell'articolo, Alessandro!
Le più grandi verità della vita sono spesso dei paradossi. È vero che non siamo fatti stare da soli, ma c'è da fare una distinzione tra "essere da soli" e "sentirsi soli". Seppure usiamo una sola parola - solitudine - per descriverle, sono due situazioni nettamente diverse. E, a parer mio, direi che per non sentirsi soli è necessario anche saper stare da soli, oltre che circondarsi delle persone che danno preziosità alla nostra vita. Perché sì, gli altri sono degli specchi perfetti in cui rifletterci per capire delle cose su noi stessi, ma per poterle notare dobbiamo prima esserci guardati dentro per conto nostro, non trovi?