From Torino to Tonino, insert coin.
Qui è dove, grazie a un fine intellettuale ed elettrauto, scopro che ogni giorno hai 24 gettoni di libertà da spendere. E io li ho sempre spesi per comprare l'approvazione degli altri.
Ma l'hai capito che non serve a niente
Mostrarti sorridente
Agli occhi della gente
E che il dolore serve
Proprio come serve la felicitàTe ne sei accorto, sì
Che passi tutto il giorno a disegnare
Quella barchetta ferma in mezzo al mare
E non ti butti mai
Te ne sei accorto o no
Che non c'hai più le palle per rischiare
Di diventare quello che ti pare
E non ci credi piùBrunori SAS – La Verità
Stamattina mi sono svegliato a Torino. Sono un po' appesantito. Ho mangiato troppo e forse male, in questi giorni. Dovrei cambiare alimentazione, perché sta accadendo troppo spesso. Vorrei smettere di mangiare carne, perché ogni volta che la mangio mi sento in colpa e non mi fa bene. Perché non lo faccio? Perché temo di dire "no", quando mangio fuori. Eppure, si tratta di esplicitare i miei bisogni. Con me stesso, soprattutto. Sarebbe bello dire a me stesso: "no, oggi non devi compiacere nessuno non crei problemi, se ti prendi cura di te".
E invece? Andiamo con ordine.
Ho passato il weekend in Piemonte, da Anita. È stato un fine settimana molto importante. Innanzitutto perché, dopo i primi tipici mesi di confusione tipici tra la paura di impegnarsi e quella di non farlo, ho capito che ci troviamo molto bene insieme. Evviva!
Ma concentriamoci: dicevo che mi sono svegliato, stamattina. Che è sempre una cosa buona, svegliarsi. Anche perché non sarei qui a raccontare, no?
È suonata la sveglia e Anita rantola "nooo non ci voglio andare a lavoro oggi". E un po' l'ho invidiata. Già mi immagino Anita che mi manda a quel paese, quando leggerà.
Il punto è che il primo pensiero è stato: ecco, questa è una vita che dovrei vivere, ma non riesco. Non merito nulla, perché non ho mai sofferto abbastanza. Che poi, non è vero. Svegliarmi con l'angoscia per andare a fare qualcosa che non aveva senso.
A dire la verità, in questi giorni mi è venuto in mente quando è successo la prima volta, di svegliarmi con angoscia.
Ero al primo anno di università.
Quel percorso non faceva per me. Ma ho continuato, fino alla laurea.
Perché? Perché io non sapevo cosa è giusto per me. Comincio a capirlo solo adesso. E quindi ho sempre fatto quello che gli altri pensassero fosse giusto. Solo che questa cosa mi ha creato un sacco di problemi.
Torino sembra essere un posto dove trovo chiarezza. O forse è Anita.
A questo proposito, lì ho ripensato a una relazione. Non quella attuale, ma a quella passata.
Una delle ragioni per cui ho smesso di scrivere e, quindi, di dover ricominciare a farlo con Oltremare, è stata la fine di una relazione che è durata quasi la metà della mia vita. Questa persona, avrei scoperto poi, aveva probabilmente una storia parallela da mesi e, in ogni caso, mi ha per certo lasciato in un momento molto difficile per me e la mia famiglia. Questo non significa che io non abbia fatto degli errori con lei. Spesso ero duro, chiuso, intrattabile.
In questi giorni, mi sono venuti in mente tanti episodi di cui non vado fiero.
Ma mi sono anche reso conto, per la prima volta, da dove venivano quelle reazioni. Ed è una cosa importante, perché non voglio più ripetere questo errore.
È paradossale, ma la ragione profonda è quella di aver cercato di compiacere lei. Annullare me stesso e i miei bisogni. Una cosa che non mi ha fatto bene.
Tuttavia, qualcosa dentro di me si agitava, dicendomi che no, era meglio sperare di deludere qualcuno, piuttosto che violentarsi a essere quello che pensavo potesse piacere all'altro, chiunque esso sia. Che poi, se ci penso, è lo stesso pattern che ho individuato la settimana scorsa. Ho sempre fatto questa cosa, anche al lavoro.
E non voglio farla più.
Non voglio farlo per me, non voglio farlo per le persone che mi stanno accanto adesso.
Quindi, per stare bene con gli altri, devo stare bene con me. Pare una massima banalissima da motivatore o esperto di crescita personale. Non sono nessuna di queste cose e non mi interessa esserlo. Non è una legge, è una cosa per me piuttosto controintuitiva che sto imparando, pagandola al prezzo di rimorsi.
Ma come si fa?
Non lo so, ma forse la prima cosa da fare è abituarsi a fare quello che ci piace. O prima ancora, abituarsi a provare. E vedere di volta in volta se quello che ci ha incuriosito, ci piace. Magari si trovano degli indizi, qua e là.
Per esempio, l'ho già scritto la settimana scorsa, sto leggendo la Storia della Filosofia di Luciano De Crescenzo.
Sono ai presocratici e, subito dopo aver scoperto che Eraclito era un adorabile stronzo, si è passati a Tonino Capone, elettrauto, "l'unico intellettuale italiano in grado di regolare le puntine platinate di uno spinterogeno". Meraviglioso.
Per Tonino,
"Avere una filosofia significa, fra l'altro, possedere una scala di valori in base alla quale operare le scelte di vita."
Hey, ma è proprio quello di cui ho bisogno! Valori, in base a cui decidere se una cosa mi va bene o no.
E a quanto pare, avere valori non dico che ti risolve un sacco di problemi, ma perlomeno ti aiuta ad affrontarli. Incluso quello di agire in base a quello che buoi tu, non per compiacere qualcuno.
A questo proposito, l'elettrauto-filosofo (o filosofo-elettrauto?) è piuttosto illuminante:
«La vita quotidiana» dice Tonino «è come il Monopoli: all'inizio ogni giocatore riceve dal banco 24 gettoni di libertà, un gettone per ogni ora del giorno. Il gioco consiste nel saperli spendere nel modo migliore.»
«Noi per vivere» dice Tonino «abbiamo bisogno di due cose: di un po' di soldi, per essere indipendenti dal punto di vista economico, e di un po' di affetto, per superare indenni i momenti di solitudine. Queste due cose però non le regala nessuno: te le devi comprare e te le fanno pagare a caro prezzo con ore e ore di libertà. I meridionali, per esempio, sono portati a desiderare il posto sicuro, lo stipendio fisso tutti i ventisette. Non dico che si tratti di un mestiere stressante, tutt'altro, però in termini di libertà l'impiego è un impegno tra i più costosi che esistono: otto ore al giorno significano otto gettoni da pagare, senza considerare gli straordinari e un eventuale secondo lavoro. E veniamo all'amore: anche in questo caso l'uomo si orienta per una sistemazione di tutto riposo, si trova una moglie e spera di ottenere da lei quello stipendio affettivo di cui sente il bisogno. Pure questa soluzione ha il suo costo: nella migliore delle ipotesi sono altre sei ore di libertà che vanno a farsi benedire.»
«L'importante però è che ci sia sempre, per ciascuno di noi, quell'angolino per potersi dedicare a qualche cosa che non sia la pura occupazione del guadagnare e dello spendere. Oggi purtroppo il consumismo, con le sue pretese sempre più imperative, con le sue leggi di comportamento, ci costringe a tirare la carretta molto più di quanto in realtà avremmo bisogno. Basterebbe infatti eliminare le spese superflue per poterci liberare, una volta per tutte, della condanna del super-lavoro.»
Luciano De Crescenzo – Storia della filosofia Greca - Medievale - Moderna – Mondadori
Ecco: io ho iniziato questa cosa dicendo che vorrei stressarmi. Ed è quello che ho fatto per tutta la vita. Ammazzandomi di lavoro per quattro soldi e ancora meno riconoscimento. Dicendomi che non lavoravo abbastanza. Settimana scorsa, dicevo che era paura di dedicarmi a qualcosa che fosse mio. E non rinnego questa intuizione. Ma c'è dell'altro. L'ho fatto non solo per il riconoscimento, ma perché non davo valore al mio tempo. E quindi, a me. Stessa cosa nelle relazioni.
Quello che ho fatto finora, è stato spendere tutti i miei gettoni per gli altri. Facendo il prodigo quando ero coi soldi contati. E riducendomi con le cosiddette pezze al culo alla fine di ogni giornata, mese, anno.
E adesso bramo per tornare a fare questo. Ma Tonino ci ammonisce:
«L'importante però è che ci sia sempre, per ciascuno di noi, quell'angolino per potersi dedicare a qualche cosa che non sia la pura occupazione del guadagnare e dello spendere. Oggi purtroppo il consumismo, con le sue pretese sempre più imperative, con le sue leggi di comportamento, ci costringe a tirare la carretta molto più di quanto in realtà avremmo bisogno. Basterebbe infatti eliminare le spese superflue per poterci liberare, una volta per tutte, della condanna del super-lavoro.»
Ma non è solo una questione di consumismo. È di identità. Ne ho parlato anche l'altra volta. Compiacere gli altri è un modo per giustificare la nostra esistenza.
È un meccanismo radicato nella nostra mente sin da quando, poco più che scimmie, abbiamo capito che l’unico modo per non farci sbranare da una tigre dai denti a sciabola, spiaccicare da un mammut o peggio, incontrare un vicino prepotente era stare insieme ad altri membri del tuo clan. E, vien da sé, conveniva che questi qui ci trovassero simpatici.
Un altro elemento essenziale per la sopravvivenza è l’appartenenza a un gruppo. I nostri antenati primitivi lo sapevano fin troppo bene: se la tua tribù ti caccia via, non ci vorrà molto tempo perché i lupi ti trovino. In che modo, dunque, la mente ti protegge dall’esclusione dal gruppo? Mettendoti a confronto con gli altri membri: mi sto integrando bene con gli altri? Sto facendo la cosa giusta? Il mio contributo è sufficiente? Sono bravo come gli altri? Sto facendo qualcosa per cui potrei essere allontanato?
Russ Harris - La trappola della felicità
E se, dal momento che le tigri dai denti a sciabola e i mammut si sono estinti (la stessa cosa non si può dire per i vicini purtroppo), cercassi qualcosa di diverso dall’approvazione e dal confronto con gli altri? Cosa potrebbe essere?
Sentiamo che ne pensa Tonino che diceva di vivere, a modo suo, al massimo:
«La ricchezza è solo uno stato d'animo: basta non avere bisogni per potersi sentire automaticamente straricchi. Vuoi la felicità? Non ci sono problemi: ricordati che coincide con la tua libertà personale. Io, per quanto mi riguarda, ho già ridotto al massimo il mio tenore di vita: questo mi consente di lavorare solo mezza giornata e di dedicare il resto del mio tempo all'amicizia e alla conoscenza del mondo.»
In realtà, quello che dice Tonino è stato poi confermato da studi scientifici. Questo modo di vivere - dare spazio ai propri valori, coltivare relazioni autentiche, non lasciarsi schiacciare dal lavoro - è uno degli elementi che caratterizza le cosiddette Blue Zones. Sono quelle quattro-cinque aree del pianeta, tra cui c'è la Sardegna, dove le persone non solo vivono più a lungo, ma vivono meglio.
Pare che il segreto non sia solo nell'alimentazione (proprio quella che vorrei adottare ma non adotto per non dover spiegare). È soprattutto nella presenza di relazioni significative e in un senso dell'io forte, radicato nei propri valori. Come se l'essere autentici, di non sprecare i propri gettoni di libertà per compiacere gli altri, fosse una ricetta non solo per vivere di più, ma per vivere meglio.
Che, come sentenzia De Crescenzo, commentando il simposio dell'elettrauto:
«Molti studiano come allungare la vita, quando invece bisognerebbe allargarla!».
E io invece sembra mi stia sbattendo per restringerla.
In questo momento, soprattutto adesso che è lunedì, mi preme trovare una soluzione lavorativa. Ma allo stesso tempo, qualcosa dentro di me rema da un'altra parte. Mi dice "non tornare ai vecchi schemi".
Ma cosa posso fare? I miei valori, almeno, comincio a vederli chiari: libertà di essere me stesso, autenticità nelle relazioni, il bisogno di raccontare storie che abbiano senso. E in un certo senso, ho iniziato ad agire in base a questi. Oltremare stesso ne è la prova. O, quando non ci riesco - come con questa storia dell'alimentazione, come con i lavori che accetto controvoglia - perlomeno riconosco che il disagio che sento è dovuto al mio allontanarmi da questi valori. Ogni volta che tradisco me stesso per compiacere qualcun altro, la pago a caro prezzo, dilapidando quei gettoni di libertà di cui parla Tonino. Sia quelli presenti, che quelli futuri.
Ma non so se agire basti. Sto facendo alcune cose, ad esempio una di cui non posso parlare perché riguarda un mondo dominato dalla scaramanzia e mi piace calarmi nella parte. (Ops, ho dato un indizio). Ma sono tutte cose che al momento non mi pare abbiano senso o un qualche tipo di output. Non quello che mi farebbe stare tranquillo con quello che Tonino stesso ammette essere necessario per vivere.
Insomma, è un momento in cui, più che attraversare la nebbia, ci sto facendo la vanvera.
Se avete qualche indicazione, che ne so: "naviga lungo la rotta sud-sud est e poi alla terza vai in fondo a destra, passa davanti alla toilette e poi alla rotonda prendi la seconda uscita", fatemelo sapere.
Sennò, continuo a navigare oltremare che prima o poi un faro lo scorgo. Magari quello che mi indica la strada per essere me stesso. Anche a costo di dover spiegare perché non mangio carne, perché non accetto certi lavori, perché ho bisogno dei miei spazi. Che forse è meglio non incassare approvazione, piuttosto che sprecare gettoni di libertà.
Ciao ciao!
Onestamente, non mi aspetto da te che tu sia contento di te 😉, ma alla fine credo che sia questo il tuo superpotere: migliorarti sempre perché non ti basti mai.
Le conseguenze sono tutte a carico tuo, noi ci prendiamo il meglio
Oh, sempre illuminante, ma oggi ti sei superato